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/home/niccaweb/niccaiovinella.net/htdocs/newpost.php on line 15In un surreale racconto di Franz Kafka, del 1914, è descritta la punizione di un soldato indisciplinato per mezzo di una surreale macchina di tortura. In quello stesso anno, Duchamp lavora ai suoi macini al Grande vetro, per il quale inventa la Macchina celibe.
Il filosofo Jean-François Lyotard seppe ben cogliere il ruolo svolto delle macchinerie inventate nelle avanguardie del Novecento: l'arte produce costruzioni, anche imitando le tecnologie che avanzano ormai in modo inarrestabile, ma a differenza di queste, l'arte non si propone alcuna finalità, al di fuori del piacere della sperimentazione. Da ciò l'interpretazione delle macchine celibi, ovvero improduttive e una forte presa di posizione etica.
La piena inclusione della nozione di piacere nel discorso dell'arte, per intrattenersi su un tema caro a Lyotard, implica però la presenza di un corpo.
In questa prospettiva, l'artista non è un mero esecutore, non è più il tramite per il quale l'Idea si realizza utilizzando un saper fare affinato nella pratica. Piuttosto egli è autore e parte integrante della propria opera. Lo stesso Duchamp presta la propria persona per opere centrate sul suo corpo: tutta la lunga stagione dell'happening e delle performance ci ha abituati alla sparizione dell'opera come manufatto, sostituito dall'intervento, a volte assai effimero del suo autore.
La macchina di Kafka inaugurava così una lunga riflessione sul rapporto tra la macchina-creazione e corpo-autore, nsenza lasciare indifferente l'osservatore che, come nel racconto, è coinvolto in qualità di testimone attivo. Oggi la smaterializzazione mina la consistenza dell'opera spostando l'attenzione sul corpo dell'artista, inteso come oggetto e merce, ancor prima che soggetto creativo.
Il lavoro di Nicca Iovinella prova a ristabilire un equilibrio, tra opera e corpo. L'autrice, nella sua presenza fisica, è tutta nell'azione creativa, ma rispettando sempre alcune condizioni. La prima è nella spersonalizzazione: in alcuni casi, una tuta diventa strumento delle sue azioni e anestetizza i tratti anatomici. In altri, un abbigliamento del tutto quotidiano permette all'artista di confondersi tra il pubblico.
Una seconda condizione sta nella permanenza dell'opera. Il corpo e l'azione performativa serve da innesco di un racconto, di un evento che accade e che ha il suo centro nella costruzione, ma da questa dipende e per questa significa. Quel che accade tra artista e creazione, in un solo specifico momento di rappresentazione, è documentato attraverso il video.
Quel che rimane, al di là della performance, non sono perciò meri residui, rimanenze di qualcosa di maggiormente pregnante al quale continueranno a rimandare, ma è opera autonoma capace di propria valenza estetica, indipendente dall'azione avvenuta.
Nel progetto per Nuvole Arte, Iovinella propone un letto, una croce di steli acuminati sui quali si adagia. L'artista dichiara subito che non c'è alcun obiettivo di teatralizzazione della sofferenza, ma solo della condizione, di certo scomoda, dell'artista che sta sulla propria opera e da questa, forse, è sostenuto e al tempo stesso respinto.
Tutta la ricerca di Iovinella, verte sulla domanda circa il significato dell'atto creativo e la posizione dell'artista rispetto all'opera. In lei l'artista non è distante, non interrompe il suo apporto con il compimento dell'opera, ma rimane coinvolto, in prima persona. In questo senso, il lavoro dell'artista è sempre, come dovrebbe essere, un assumersi la responsabilità di un'estetica e insieme di un'etica, così come, forse, avvertiva Kafka nel racconto della Colonia penale.
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